Serena e Giovanni
Elisabetta, splendida figura di madre descritta nel Vangelo di Luca, moglie di Zaccaria sacerdote, era una donna formata nella cultura e intimamente in ascolto di Dio. Aveva accettato con nascosta sofferenza, la mancanza dei figli e il pregiudizio di “sterile” in un tempo in cui nessuno avrebbe mai giustificato tale situazione in altro modo o approfondito eventuali cause…
…non aveva tuttavia rinunciato del tutto, lasciando aperta nel cuore, una porticina alla speranza; conosceva bene infatti le scritture e si appoggiava ad esse, scrutandole, dagli alti monti della Giudea dove era la sua casa. Donna profonda, viveva nella consapevolezza dell’imminente rivelazione del Messia promesso come molte donne in Israele, senza dare nulla per scontato, attenta e sensibile come una farfalla.
Il giorno in cui si accorse con incontenibile stupore di essere in attesa di un bimbo, per non sciupare l’incanto di quel miracolo, si nascose ai commenti, ritirandosi in un lungo periodo di contemplazione e gestazione di quella piccola vita. In quei mesi dovette sperimentare un canto interiore di lode e di gratitudine, un’esplosione di flussi d’amore che partivano dal suo seno e che avrebbe voluto regalare al mondo, fino al punto di decidere di rompere la tradizione consueta sui nascituri, che voleva imporre i nomi dei padri sui figli nella logica delle tribù di Israele, per dare un chiaro segno che qualcosa stava cambiando per sempre. Aveva scelto di segnare la vita di suo figlio con l’unico nome che poteva tradurre la potenza di quell’evento: “Giovanni, dono di Dio”.
Una scena che lascia senza fiato, descritta nel Vangelo di Luca, ci riporta l’attimo in cui, nella stanza concitata, al cospetto di una folla di uomini accalcati sul bambino in atto di espletare le tradizioni di nascita, quando già il nome del piccolo stava per essere trascritto, con un coraggio da leonessa, si fa avanti: “No! Si chiamerà Giovanni”. Tra il riso, il disprezzo e l’imbarazzo, i signori si guardano, senza aprire bocca…ma lo Spirito, le aprirà la strada.
Oggi, anche io sono madre del mio amato figlio, che si chiama Giovanni. E’ nato dopo aver atteso a lungo la gioia della terza nascita, dopo le prime due figliole e poiché nella mia famiglia la natalità è quasi tutta al femminile, mi aspettavo tranquilla la terza femminuccia. La notizia del maschietto, mi lasciò senza parole, meraviglia e gioia profonde e un senso di infinita gratitudine per i doni inaspettati di Dio; non riuscivo a trovare un nome per colmare tanta grazia e passarono mesi nella selezione di santi, nomi, paesi, virtù, città e personaggi che avrebbero descritto quello che provavo.
Fu verso il settimo mese che mi accorsi di una voce interiore che mi suggeriva con insistenza un nome: Giovanni. Razionalmente mio marito ed io non avremmo mai scelto una figura così classica e importante, ma fu la notte d’avvento prima di Natale in cui nella lettura della Messa dedicata al Precursore risuonarono con forza dentro di me, le parole di Elisabetta: “No! Si chiamerà Giovanni”… Giuliano ed io ci guardammo…qualcuno dall’alto aveva infine scelto il nome di nostro figlio.
Inutile descrivere tutto quello che ne è seguito, l’esperienza di una maternità dal sapore tutto nuovo che solo quel nome venuto da lontano, come fu per Elisabetta, avrebbe avuto la forza di contenere un messaggio di gioia indescrivibile che accompagna sempre i grandi doni di Dio.
Figliadarte