Il miglioramento economico seguito alla lenta ripresa, dalla seconda guerra mondiale con il successivo rinascere delle produzioni e delle importazioni, aveva trasformato la mentalità sociale, contagiata da uno spirito euforico e positivista, dilagando in tutti i campi e quindi nell’arte, con un rifiuto della precedente temperatura drammatica dell’Espressionismo per far posto a fermenti ispirati ad un ottimismo produttivo, all’arte come design per l’utile quotidiano e in sintesi, finalizzata alla descrizione di un presente godibile, commerciale e tecnologico.
Arte quindi non più come espressione di un emozione o moto interiore, ma al servizio di messaggi produttivi (pop art) o ispirati al materialismo e all’utile (arte oggetto). Presto sovrastata dal sempre insoddisfatto genio degli artisti, viene accantonata dopo il dibattersi di numerosi tentativi di analisi e sperimentazioni, per lasciare il posto ad un periodo di ricerca nel vuoto, tormentato da una sotterranea assenza di riferimenti, divagazioni e un senso di desolazione, confermato dal crollo epocale del boom economico.
L’ironia dissacrante di alcuni fenomeni artistici, come l’arte concettuale che sovvertiva il carattere della forma ponendola al di sotto dell’idea, o come il Nuovo Dadaismo, ispirato all’osservazione degli oggetti consueti, riproposti come arte, ma ancora più spinta in questa corrente tutta italiana, nella sua forza disorientante, da Piero Manzoni, tragicamente sferzante nelle sue descrizioni metaboliche e da Pino Pascali, polemico nella ricerca di soggetti impensabili, come gli insetti, aveva creato una tale provocazione e rottura con l’idea collettiva universalmente riconosciuta dell’arte, da segnare quasi un fermo storico della richiesta, nei livelli sociali medi e quindi della spinta produttiva; va comunque segnalato che tra l’apparire di queste espressioni e la risonanza sociale che ne segue, intercorrono diversi anni, periodo nel quale una parte degli esponenti creativi del secolo, rimangono ancora fedeli al discorso formale, alcuni di essi appartenenti proprio alla scuola romana, formatasi già nei primi del secolo tra le vie popolate del centro di Roma.
E’ questo forse il ponte lanciato dal dopoguerra in poi, che ha tenuto sospeso quel filo d’unione, tra una rappresentazione riconoscibile dell’immagine classica dei primi decenni del secolo ed una vagamente impercettibile, smembrata, brandellizzata e reinterpretata del residuo rimasto della forma, del postmoderno in Europa al tramonto del mito americano. L’Europa tiene saldo, il deposito unico della matrice classica, ben nascosto sotto la cenere delle macerie belliche, sopito, pulsante in attesa di risvegliarsi ad una nuova primavera, a tratti avvisato nella passione per ameni paesaggi, volti irreali, figure sospese, corpi smontati, spunti classici che fanno capolino in mezzo a sfondi non trattati o diremmo maltrattati, irriverenti, lasciati, che si affacciano alla fine degli anni 80. E’ la Transavanguardia, che attraversa sul filo del rasoio di una disfatta epocale, che raccoglie i propri pezzi, i brandelli di un’identità languente ma viva…è l’arte povera che si sforza di scavare nella distesa di scarti edilizi rimasti, i semi del passaggio immortale della natura e dei suoi archetipi.
L’Arte, “anima mundi” ritrova il sentiero dell’identità della specie, fascia le ferite, raccoglie ciò che rimane e si incammina nelle maglie della storia, consegnando l’uomo del novecento alle soglie del millennio, ancora una volta consapevole di possedere un’immagine.
Sopito si risveglia agli inizi del Nuovo Millennio il richiamo primitivo e sempre nuovo della bellezza, gli spiriti placati e sazi di stralci visivi criptati, ripensano al retaggio materno succhiato nei panni caldi dell’infanzia, negli abbracci del corpo della madre, in una speranza tutta nuova che volge nuovamente lo sguardo al proprio simile, l’essere umano;
Risorgono i sentimenti e il tempo delle contemplazioni, ricompare il volto umano nelle esposizioni fieristiche dell’ultimo ventennio, anzi, evidenziato su grandi spazi, questa volta aperto alla luce delle folle, analizzato sotto infiniti aspetti coloristici e ricompare insieme lo splendore dei corpi nella loro lucente bellezza, la forza della vita, l’immensità degli orizzonti, il calore degli interni…lo studio della luce che accarezza le forme della materia nella sua PROROMPENTE ENERGIA. Un nuovo spirito di emulazione in Arte della bellezza, risplende sulle opere degli artisti a cavallo del nuovo secolo, riscoprendo con l’aiuto delle nuove tecnologie la perfezione visiva nella rappresentazione del reale.
La coscienza universale in Arte non fugge più la visione della realtà, ma ne viene ancora una volta catturata in modo avviluppante e perdutamente se ne innamora accentuandone la bellezza, le luci, le forme, i colori..ancora più e meglio di prima. E’l’Iperrealismo Contemporaneo.
Il cammino dell’immaginario collettivo ha svoltato il secolo, l’uomo, l’artista, ha ancora tra le mani un linguaggio muto ma eloquente, per parlare di quello che vede, che sente e di ciò che può toccare con mano, fino al delirio della passione dinanzi alla rappresentazione irraggiungibile dell’Essere Umano.